Da Tivoli, l’antica Tibur, prende avvio la via Valeria, che si introduce nei territori aspri dell’Italia centrale, scavalcando i monti e insinuandosi nelle vallate dell’Abruzzo. Lungo il tracciato, che segnò l’espansione di Roma in questi territori, l’archeologia è il ponte che permette di attraversare i secoli e ricongiungere i luoghi, oggi divisi tra due regioni e nel passato uniti da un comune destino, sullo sfondo di un paesaggio che conserva in sé il profilo intatto delle epoche più antiche.
Quando alla fine del IV sec. a.C. una vasta operazione militare, costellata di scontri, portò Roma alla estensione della sua sfera politica e alla conquista di ampi comprensori dell’Italia centrale, mediante la stipula di trattati di alleanza e la fondazione di colonie, la polvere di un antico tracciato si alzava frequentemente sotto il passo dei soldati. Furono anni di guerre e violenze; le greggi si allontanarono dal percorso più frequentato, lasciando lo spazio alle truppe, fino a quando Roma impiantò in questi luoghi le città, abitate da uomini a lei fedeli.
E la strada, ormai regolarizzata e sistemata, prende il nome di via Valeria e congiunge Carsioli, Alba Fucens, poi Corfinium e più tardi Teate Marrucinorum e Ostia Aterni: una scia sottile, scandita dai miliari che indicano la distanza da Roma, unisce queste grandi realtà urbane e ancora vive nel tessuto contemporaneo; numerosi altri luoghi si dispongono a raggiera, come una trama fitta che si dipana tra piccoli borghi e ampi spazi.
Il percorso lascia il Lazio con la valle dell’Aniene e si dirige in Abruzzo, toccando per prima Carsioli, la colonia fondata nel 298 a.C., la fredda città dove Ovidio sostava nel suo viaggio verso Roma, nel sito dell’odierna Civita di Oricola; punto obbligato di passaggio sulla Piana che introduce al tratto più aspro, dove la montagna stesa diviene strada, tagliata ad arte a Roccacerro.
E, dopo aver attraversato la nobile Tagliacozzo, nella sua discesa verso i Piani Palentini, che secoli più tardi videro la battaglia tra Corradino di Svevia e Carlo d’Angiò segnare le sorti della futura Europa, la polvere torna ad alzarsi nelle giornate calde d’estate e l’acqua a bagnare i passi dei viandanti nelle stagioni umide e piovose.
Sessantotto miglia da Roma: la via Valeria, nelle forme ormai monumentali disegnate dal basolato armonicamente irregolare, attraversa le maestose mura poligonali ed entra ad Alba Fucens, l’antica colonia latina fondata nel 303 a.C., “adagiata sulle enormi fiancate del Velino” (C. Brandi).
Una natura possente, che nei millenni ha segnato le sorti degli uomini, confonde le sue linee con quelle dei resti riportati alla luce: trenta anni di scavo, a partire dal 1949 e poi quelli dal 2006 a oggi hanno restituito il centro pulsante della città, con la successione dei principali edifici (foro, basilica, mercato, terme,
santuario di Ercole, botteghe, strade, abitazioni e templi), tra i quali risuonano le voci degli spettatori che nell’anfiteatro assistettero numerosi ai giochi gladiatori o che nel teatro ritagliato nella collina condivisero spettacoli teatrali, di musica e danza.
Prigione di stato per re sconfitti, Alba Fucens è il luogo sicuro, protetto da tre alture, a loro volta circondate da tre chilometri di mura; dalla cima di queste colline lo sguardo si apre su “il lago antico e la pianura nuova” del Fucino: il primo completamente prosciugato nella seconda metà dell’Ottocento, l’altra ancora oggi terra fertile e agricola.
E quando la via Valeria esce dalla città, un altro percorso può distaccarsi e toccare i luoghi che meglio rappresentano questi territori: i Cunicoli di Claudio ad Avezzano, segno dell’opera di un imperatore per la bonifica del lago; il santuario di Angizia, a Luco dei Marsi, dove in molti devotamente giungevano; Supinum, celata dal Medioevo superbo della basilica di San Cesidio a Trasacco; la necropoli di Amplero, racchiusa tra i monti incontaminati di Collelongo e Marruvium, oggi San Benedetto dei Marsi, la città dai raffinati mosaici, dai Morroni, grandi monumenti funerari, e dall’anfiteatro spazioso.
La via Valeria, sull’altra sponda, continua il suo tracciato, in più punti avvolta dall’intatto tratturo Celano/Foggia, il silenzioso fiume d’erba che qui prende avvio costeggiando la moderna SS5 Tiburtina Valeria, per poi salire verso Cerfennia, oggi Collarmele, e perdersi nel paesaggio archeologico di Forca Caruso, dove il tempo è scandito, contemporaneamente, dal ritmo lento delle greggi disseminate sulle pendici e delle pale eoliche che tagliano il cielo.
Da 1100 metri di altitudine, la via Valeria, apparsa a tratti in occasione di recenti scavi, riscende verso la Valle Subequana, dove l’Abruzzo appare fermo nella sua atavica bellezza disegnata da una natura prodiga; qui l’uomo ha sempre vissuto, rispettando e adattandosi ai cicli vitali delle stagioni, cercando il sostegno delle divinità alle quali ha dedicato luoghi sacri, sparsi nelle radure, o resi monumentali come a Castel di Ieri, dove il tempio a triplice cella ancora si innalza maestoso, guardando da lontano la rocciosa montagna del Sirente che sovrasta il municipium di Superaequum, oggi Castelvecchio Subequo.
Da questi monti il percorso, ancora una volta, scende a valle, nella conca che prende il nome dai Peligni che vi abitarono; punto di arrivo è Corfinio, scelta, per la sua felice posizione, come capitale della lega dei popoli italici nella guerra del I sec. a.C. contro Roma, combattuta per acquisire la cittadinanza; lo ricorda la moneta con la legenda “Italia”, esposta nell’accogliente Museo locale.
Poco lontano, il municipium di Sulmo, oggi Sulmona, è al centro di altri percorsi che conducono a sud, verso i pascoli e le terre alte; patria di Ovidio, cresciuta e trasformatasi per secoli su stessa, oggi la città è lo specchio della rigenerazione della storia che ha lasciato testimonianze vive di ogni epoca, sullo sfondo delle montagne che chiudono la Valle Peligna da ogni parte.
Al di là di queste, il mare Adriatico è la meta ultima della via Valeria, divenuta, nel I sec. d.C., Claudia Valeria grazie all’intervento di Claudio; una nuova opera pubblica dell’imperatore per unire in maniera indissolubile anche Teate Marrucinorum e Ostia Aterni alle retrostanti montagne, alle valli e, ancora più in là, a Roma.
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