Archeologia preventiva
La Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle province di Chieti e Pescara ha doverosamente prescritto al Comune di Chieti, in base a quanto stabilito dall’art 25 del D.Lgs 50/2016, le indagini archeologiche preliminari per il progetto di “riqualificazione architettonica di piazza San Giustino” denominato “Riqualific@Teate”, finanziato in base al DPCM 25.05.2016.
E’ stato pertanto avviato ad ottobre un intervento di archeologia preventiva – per verificare la possibilità di costruire i tunnel per i sottoservizi e le altre strutture previste nel progetto; – per la migliore conduzione dei lavori nell’ambito della tutela delle eventuali preesistenze di riconosciuto interesse culturale che dovessero essere conservate nel sottosuolo.
Naturalmente, tale indagine archeologica preventiva deve portare alla realizzazione del progetto iniziale, pur con eventuali aggiustamenti opportunamente valutati ed effettuati in accordo tra l’Ente di tutela e l’Ente che realizza il progetto.
Risultati
Nel primo lotto dei lavori condotti su metà piazza, questa indagine preliminare alla realizzazione del progetto, preceduta da prospezioni geologiche non invasive (Fabio Colantonio), si è finora per necessità fermata alle fasi medievali presenti nel sottosuolo di piazza San Giustino; nell’assetto generale sono stati riconosciuti ed individuati gli indizi di una più antica sistemazione urbana, di età romana repubblicana e imperiale, non ancora riferibili a strutture monumentali definite, i cui livelli potrebbero trovarsi a quote più profonde rispetto ai piani attualmente evidenziati, tanto che per raggiungerli correttamente occorrerebbero mesi di scavo e sarebbe necessario smontare i muri e le strutture di epoca moderna e medievale. Il metodo archeologico ripara a questa distruzione con la documentazione fotografica, grafica, filmata (da Nicola Genovesi) e computerizzata. Ma nulla viene cancellato per sempre e, anzi, il racconto di quanto si è compreso entra nella circolazione delle idee che è il vero valore culturale, la reale ricchezza che deve far posto al feticcio del muretto, del coccio, pur considerati come monumenti irripetibili di storia.
Le murature esistenti nel sottosuolo appartengono a varie fasi della città:
• poderose mura in opera laterizia di epoca post-classica poste di fronte all’attuale Palazzo di Giustizia
• murature di epoca altomedievale e medievale spesso realizzate con elementi di spoglio di epoca romana (frammenti di colonne e semicolonne scanalate, cubilia, soglie e mattoni) ed elevati costruiti in materiali deperibili (argilla concotta con impronte di incannucciata) riferibili, nella zona orientale dell’area finora indagata, ad un uso abitativo o produttivo;
• nell’area più vicina alla cattedrale, le murature sembrano essere pertinenti ad una cisterna o a un grande ambiente interrato che conserva un lacerto pavimentale realizzato in piccoli mattoni posti a spina di pesce; nei pressi, in una intercapedine riempita con materiale di spoglio anche di età romana è stata recuperata la straordinaria, finissima testina femminile in marmo raffigurante Venere.
Nel corso delle indagini archeologiche, coordinate dalla Soprintendente Rosaria Mencarelli e dall’archeologa Rosanna Tuteri con l’assistenza di Sabatino Letta, sono state dunque condotte in sei aree le analisi stratigrafiche generali e di dettaglio (Maria Di Iorio, Paola Riccitelli), i rilievi diretti che presuppongono una capacità di analisi interpretativa e restitutiva al tratto (Paolo Fraticelli), il rilevamento fotogrammetrico (Serafino Lorenzo Ferreri di Kimera s.r.l.) che trova la sua prima applicazione a Chieti e permette di ottenere modelli tridimensionali in movimento e ortofoto per una documentazione georeferenziata nel sistema di riferimento geodetico della Regione Abruzzo; non vengono trascurate le analisi petrografiche (Silvano Agostini), quelle paleobotaniche e quelle propedeutiche al restauro (Maria Isabella Pierigè).
Aspettative
In un ambito quale il centro storico di Chieti, questo intervento preventivo ai lavori si connota anche come indagine di “archeologia urbana” che, con il ricorso al metodo stratigrafico e una visione diacronica dello sviluppo urbano, non privilegia una particolare fase della storia locale, ma concorre a conoscere e preservare il carattere storico della città, per come si è evoluto e trasformato nel tempo fino ai nostri giorni.
L’intervento archeologico si pone quindi come necessaria fonte di acquisizione dei dati materiali per la ricostruzione della storia urbana: si tratta di elementi di varia cronologia, appartenenti a città succedutesi nel tempo e mai vissutecontemporaneamente, la cui comprensione è però difficilissima a prima vista e ai non addetti, come difficilissima ne è anche la conservazione all’aperto. Del resto, limitarsi a controllare che i nuovi lavori non danneggino le preesistenze, senza approfondire le indagini per individuarne tipologia e cronologia, sarebbe conseguenza di una visione asfittica della tutela, non vivificata dalla ricerca che porta conoscenza e condivisione. Questi inediti paesaggi, insieme al carattere pluristratificato della piazza e della città, devono costituire un valore aggiunto che va restituito e comunicato in una sede opportuna (un locale, o un’installazione), in un luogo destinato a raccontare e a presentare quanto rinvenuto con immagini, con rilievi e con gli stessi reperti.