Focus

16 Maggio 2024

ASILO NIDO LA CAMPANELLA | LANCIANO – CH

Nascita degli asili nido

Per comprendere meglio la storia dell’asilo nido “La Campanella” di Lanciano, oltre al suo inquadramento nell’ambito locale, occorre tracciare il percorso storico e culturale più ampio, italiano e europeo, che riguarda la nascita, lo sviluppo e le trasformazioni di questa particolare istituzione pensata per la prima infanzia, avente all’inizio la funzione di ente assistenziale e di custodia e che solo più tardi si è evoluta verso un tipo di struttura avente anche una funzione educativa. A differenza infatti di altri servizi per l’infanzia, la nascita dell’asilo nido non ha motivazioni pedagogiche, ma sociali. L’asilo nido nasce dalla necessità di creare un luogo adibito alla custodia e all’assistenza dei bambini al di sotto dei tre anni, per andare incontro ai bisogni delle madri lavoratrici.

La maternità, specialmente quella in difficoltà e la possibile situazione infantile di rischio e di degrado, ha iniziato a essere presa in considerazione in Europa all’inizio dell’Ottocento. In Italia sono stati gli intellettuali italiani di estrazione cattolica, più sensibili alle tematiche sociali, a rendere possibili le prime esperienze di “asili”, strutture che potessero accudire le madri delle famiglie povere, supportandole nella cura e nella crescita dei figli più piccoli. Il primo “asilo di carità per l’infanzia” è stato aperto a Cremona nel 1829 dal sacerdote cremonese Ferrante Aporti. Gli asili aportiani erano finalizzati prima di tutto a evitare il fenomeno dell’accattonaggio e del vagabondaggio e, in secondo luogo, a preparare bambini e bambine per l’istruzione elementare, curandone lo sviluppo fisico, intellettuale e morale. Pochissimo spazio veniva concesso al gioco e alla creatività. Gli asili aportiani assomigliavano a delle vere e proprie “scuole”, con i bambini e le bambine seduti nei banchi e con i banchi disposti su gradinate per meglio sfruttare il poco spazio a disposizione. Prioritarie erano le tradizionali attività dell’insegnamento e dell’apprendimento, mentre il gioco era sostituito da attività artigianali per i maschi e dall’economia domestica per le femmine.

Le prime vere e proprie iniziative di assistenza per i bambini e le bambine da 0 a 3 anni, si sono avute in Italia a partire dal decennio 1840-1850. L’educatore milanese Giuseppe Sacchi, dopo avere contribuito alla fondazione di scuole per l’infanzia, ha avviato il progetto del “Pio ricovero per bambini lattanti”, aperto a Milano nel 1850, anno che può essere considerato l’inizio delle istituzioni assistenziali per la prima infanzia in Italia. Tali “ricoveri” erano strutture destinate principalmente alla custodia dei figli delle operaie impiegate stabilmente in manifatture e fabbriche della città. La nuova istituzione di Sacchi è stata avviata in collaborazione con Laura Solera Mantegazza, la quale ha svolto la funzione di ispettrice nel primo “asilo nido” milanese e ne è stata la vera animatrice, curando l’organizzazione della vita dell’istituto, coordinando il personale di custodia e i rapporti con l’esterno e preoccupandosi di farlo divenire un’istituzione cittadina e non solo limitata alla sfera privata dei finanziatori. 

Seguendo il modello di Sacchi, i “ricoveri” detti anche “presepi” (dal francese crèche), nella seconda metà dell’Ottocento, si sono diffusi in tante città, soprattutto del nord. Le principali fruitrici sono state le lavoratrici a domicilio (filatrici di seta, domestiche, sarte) e le salariate giornaliere occupate in maniera saltuaria. Non erano invece fruiti dalle operaie delle nascenti grandi fabbrica, impossibilitate ad assentarsi tre o quattro volte al giorno dal luogo di lavoro per raggiungere il luogo in cui poter allattare. Proprio per risolvere il problema delle assenze delle madri lavoratrici per l’allattamento, contemporaneamente ai “presepi”, che avevano un carattere territoriale, si è avuta una certa diffusione degli “asili aziendali”, cioè strutture organizzate all’interno delle fabbriche, al fine di custodire i bambini delle dipendenti e per consentire l’allattamento con il minor dispendio di tempo. 

Riepilogando quanto fin qui sommariamente riportato, si ribadisce che le istituzioni educative per bambini al di sotto dei tre anni siano nate per fini assistenziali e legate al problema dell’allattamento, senza alcuna preoccupazione di tipo educativo e c’è da aggiungere che, visto dalla parte delle fruitrici, il “presepe” e il “nido aziendale” rappresentavano uno stigma sociale, un indicatore di provenienza da una bassa estrazione sociale. In queste istituzioni la madre e il bambino in essi accuditi venivano trattati come un problema demografico e sanitario e non era richiesta alcuna preparazione professionale specifica al personale femminile facente funzioni della madre.

L’Opera Nazionale Maternità e Infanzia

Gli asili nido ebbero un grosso impulso con la nascita dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI), un’organizzazione avente finalità di sostegno alle madri lavoratrici di classe povera. Il compito dell’ONMI non è stato solo quello di aprire e gestire gli asili nido; l’ONMI è stato infatti il primo grande organismo parastatale con lo scopo di promuovere iniziative assistenziali e dare risposte “politiche” per la protezione e l’assistenza della maternità e dell’infanzia, sempre visti come binomio inscindibile. 

 

I servizi per l’infanzia dell’ONMI sono stati ispirati dal principio di garantire prima di tutto la salute della donna, al fine di incoraggiarla ed educarla all’assunzione delle responsabilità materne. Questa concezione “premiale” permetteva di accedere ai servizi solo alle madri “meritevoli”, cioè quelle che, oltre ad essere ben disposte ad allattare, si sottomettevano docilmente al controllo dei propri comportamenti quotidiani e della propria moralità. Per quanto riguarda il bambino, dal momento che entrava nel nido, diventava quasi di esclusiva proprietà del nido stesso e della sua organizzazione funzionale. 

 

La struttura edilizia dei nidi dell’ONMI prevedeva una rigida distribuzione degli spazi in tre ambienti: il dormitorio, con i lettini metallici ben allineati e ordinati; il refettorio, con i tavolini piccoli e bianchi; il salone per la ricreazione, un immenso spazio nel quale i bambini giocavano e correvano, ma senza la possibilità di organizzare attività educative nel vero senso della parola. L’attenzione degli “educatori”, obbligatoriamente rivolta alle diete e all’igiene del corpo, era figlia di un’epoca nella quale la prima infanzia non era pensata come bisognosa di una crescita armonica nella sua globalità, ma come uno stato di minorità (accomunata ad altre minorità) da accudire e custodire. La vasta gamma dei bisogni infantili (sviluppo psicomotorio, affettività, intelligenza, linguaggio) era limitata alle funzioni psicofisiologiche di base, per le quali non era prevista alcuna formazione specifica. L’effetto finale era quello di una gestione routinizzata e spersonalizzante dei bambini e delle bambine; una gestione diversa, più tollerante e rispettosa delle esigenze individuali, era affidata alla buona volontà e alla sensibilità dei singoli.

 

L’atto di fondazione dell’ONMI è datato al 10 dicembre 1925 quando venne costituito – per la prima volta nella storia italiana – un ente parastatale specificatamente finalizzato all’assistenza sociale della maternità e dell’infanzia.

 

Nel novembre del 1925, poco prima della sua fondazione, un disegno di legge stabilì che l’Onmi dovesse occuparsi di questioni attinenti all’infanzia, quali « la protezione e l’assistenza della maternità, la protezione dell’allattamento materno, l’igiene sociale della prima infanzia, la profilassi antitubercolare infantile, l’igiene scolastica, l’educazione fisica, la protezione igienica del fanciullo nel lavoro, la repressione degli abusi della patria potestà, la protezione sociale del fanciullo nella vita, la repressione degli abusi e dei delitti contro l’infanzia, l’educazione dei fanciulli anormali, l’assistenza e la protezione dei fanciulli materialmente o moralmente abbandonati, la prevenzione della mendicità, del vagabondaggio e della criminalità dei minorenni, la rieducazione dei fanciulli traviati, il trattamento delinquenti.» (Atti Parlamentari, Senato del Regno, Legisl. XXVII, Documenti, Disegni di legge e Relazioni, doc. N. 79.)

 

Per quanto riguarda la donna, l’attenzione avrebbe dovuto concentrarsi su «le funzioni della maternità: la gravidanza, il parto, il puerperio e l’allattamento […] e l’infanzia la quale non si limita al tempo dell’allattamento e al secondo anno di vita, come si crede da alcuni, ma distinta dai fisiologi, nei tre periodi, prima, seconda e terza infanzia, si estende negli anni successivi all’età prescolastica e scolastica sino alla pubertà conclamata nella quale dall’adolescenza si entra nella giovinezza.» (Atti Parlamentari, Senato del Regno, Legisl. XXVII, Documenti, Disegni di legge e Relazioni, doc. N. 79-A.)

 

Nonostante questa pletora di funzioni, che spaziavano da problematiche sociali a questioni propriamente mediche, l’Opera rivendicò per sé uno specifico profilo tecnico: il personale ONMI fu costituito da specialisti in pediatria (professione ufficializzata nel 1932), ostetricia (nel 1937 il termine ostetrica prende il posto di levatrice), otorinolaringoiatria, dermosifilopatia e, in seguito, neuropsichiatria infantile. Per formare il personale vennero resi obbligatori corsi per i laureati in medicina e per le levatrici, da tenersi presso istituti che disponessero dell’attrezzatura per esercitazioni pratiche: istituti di ricovero per lattanti, orfanotrofi, cliniche pediatriche e ostetriche.

 

Nel 1932 l’allora direttore ONMI Sileno Fabbri diede avvio alla costruzione di Case della Madre e del Bambino, strutture dedicate a interventi terapeutici e sanitari in favore della maternità e dell’infanzia.  Nel 1940 erano attivi sul territorio nazionale 9.617 centri ONMI, di cui 167 Case della madre e del bambino, tra le quali quella di Lanciano.

 

L’ONMI promosse inoltre l’istituzione, a partire dal 1946, di CMPP (centri medico-psicopedagogici), per seguire ragazzi con gravi anomalie psichiche. Il programma teorico dell’ente veniva esposto sulle pagine della sua rivista ufficiale, Maternità e Infanzia, pubblicata dal novembre 1926 fino alla soppressione dell’ente. Tale bollettino mensile, diretto dal medico legale Attilio Lo Monaco-Aprile, si propose di diffondere una maggiore consapevolezza igienico-sanitaria tra la popolazione e di rendere pubblico l’operato dell’ente.

In breve, gli scopi principali dell’ente, più volte ribaditi sulle pagine di Maternità e Infanzia erano la protezione igienica della maternità, tramite la diffusione di norme igieniche scarsamente diffuse, e soprattutto tramite la medicalizzazione del parto, che si afferma negli anni 1930, la difesa morale e materiale di bambini e ragazzi fino alla maggiore età e l’educazione alla maternità.

 

Con la caduta del fascismo l’ente non viene sciolto ma anzi riorganizzato per poter far fronte alla situazione di emergenza del dopoguerra. Permanendo aggravati dalla guerra, i motivi strutturali che avevano portato nel 1925 alla creazione dell’Opera, venne ufficialmente soppresso solo il 31 dicembre 1975.

Il tabacchificio di Lanciano

Risale al 1932 l’istituzione da parte del Comune di Lanciano di un asilo nido e di un refettorio materno dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia nei locali di Villa Brasile a Viale Cappuccini.

Nell’anno 1937 il comune acquistò da Mattia Brasile un terreno lungo viale Marconi, sul retro dello Stabilimento dell’Azienda tabacchi, per la costruzione della Casa della Madre e del Fanciullo. Il costo dell’intera opera, progettata dall’ing. Vincenzo De Cecco di Lanciano, fu di L. 250.000, proprio con il contributo dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia “opera del Regime che ha sempre salvaguardato l’incremento demografico e la protezione della razza” (F. CARABBA, Lanciano. Un profilo storico (1865-1940), pag. 313). 

 

La costruzione della Casa della Madre e del Fanciullo è strettamente legata all’attività del tabacchificio lancianese. La data di costruzione del primo nucleo dello stabilimento della Azienda Tabacchi di Lanciano risale al 1930, come rilevasi dalla richiesta di autorizzazione alla costruzione presentata alla Commissione Edilizia del Comune di Lanciano in data 30 agosto 1930, alla quale sono allegati prospetti planimetrie e sezioni dello stabile progettate dall’ing. Renzo Sippel dell’Ufficio Tecnico dell’A.T.I. Tale documentazione è conservata presso l’Archivio storico del Comune di Lanciano (collocazione: Cat. X Busta 38 Fascicolo 75). 

 

Prima della seconda guerra mondiale lo stabilimento di Lanciano realizzava una produzione annua di unmilionecinquecentomila chilogrammi di tabacco (da “Libera Voce”, Lanciano, 22 aprile 1944) raggiungendo i milleduecento ettari coltivati durante gli anni ’50. (Relazione del Sindaco di Lanciano in occasione della visita del Ministro delle Finanze Giuseppe Trabucchi del 1962). Lo Stabilimento A.T.I. di Lanciano impiegò nell’immediato dopoguerra, ai minimi della sua attività, settecento addette alla trasformazione del prodotto, per superare, dopo appena dieci anni, le milleseicento operaie impiegate. La portata sociale dell’attività legata al tabacco nella zona tra il Moro e il Trigno è facilmente rilevabile dai dati dei Censimenti economici dagli anni ’30 ai nostri giorni, da essi risulta con inequivocabile chiarezza il numero degli addetti e l’estensione delle coltivazioni. Non può trascurarsi il vantaggio dei contadini coltivatori che venivano immediatamente pagati alla consegna del prodotto ed erano incoraggiati a produrre molto e bene, nonché l’ampia richiesta di manodopera che spesso proveniva dalla medesima classe dei coltivatori. L’azienda riuscì a garantire, sia pure con contratti stagionali (lo stabilimento funzionava mediamente 190 giorni all’anno) un’occupazione a circa milleseicentocento donne. Durante gli anni ’50, in un’epoca che offriva l’emigrazione come unica possibilità di sviluppo economico, lo stabilimento A.T.I. di Lanciano costituì una delle attività di maggiore rilievo nel panorama economico della zona frentana, considerato che il grado di industrializzazione nella Provincia di Chieti era pressoché insignificante, costituito solo da imprese di piccole dimensioni, quasi sempre di carattere artigianale. I risvolti sociali legati alla presenza di un’attività di tale portata furono numerosi e significativi. Va considerato l’impatto che la possibilità di lavorare fuori dalle pareti domestiche ebbe sull’universo femminile, specie delle classi economicamente e culturalmente meno elevate. La presenza dell’A.T.L.A. determinò una accelerazione non trascurabile dei processi di emancipazione delle donne, alle quali l’occasione di un impiego, seppure stagionale ma ben retribuito, offriva l’occasione per rompere le dinamiche familiari legate alla cultura patriarcale, ancora dominante nelle nostre campagne, per collocarle per la prima volta su un piano paritetico rispetto all’uomo per ciò che riguardava il contributo offerto allo sviluppo della famiglia. Non va sottovalutato, d’altra parte, come proprio l’Azienda Tabacchi si fece promotrice dei primi interventi di natura sociale legati al mondo femminile e come d’altro canto “le tabacchine” furono al centro di tutte le rivendicazioni e lotte sindacali, e questo in un ambito geografico e culturale, com’è quello abruzzese, tradizionalmente considerato marginale e arretrato rispetto ai grandi fenomeni sociali nazionali. Presso lo stabilimento funzionava la mensa aziendale, erano attivate opere assistenziali, avvenivano rappresentazioni teatrali e cinematografiche, gite e alle operaie era garantita l’assistenza medica, farmaceutica, odontoiatrica e della Cassa Mutua. Funzionavano tra l’altro anche i Consigli di Fabbrica. Per comprenderne i risvolti sulla popolazione è sufficiente citare le agitazioni e le rivolte degli anni 1968 – 69 che ancora oggi segnano profondamente la memoria collettiva, con l’occupazione dello stabilimento, gli scioperi, la vera e propria rivolta cittadina con l’assalto agli uffici pubblici, ampiamente documentati dalle riviste dell’epoca.

1-Azienda TABACCHI LANCIANO

L’Asilo Nido La Campanella di Lanciano

La costruzione, ma soprattutto la scelta dell’ubicazione fuori dal centro urbano, della Casa della Madre e del Fanciullo di Lanciano fu dettata essenzialmente dalla presenza nella stessa area dello Stabilimento dell’Azienda Tabacchi che, dando lavoro a circa mille seicento donne provenienti anche dai paesi adiacenti alla città di Lanciano, aveva contribuito a creare in pochi anni una nuova classe di donne lavoratrici che contribuivano all’economia familiare in maniera spesso determinate ma che per forza di cose avevano meno tempo per occuparsi della cura della, spesso numerosa, prole.

 

Mancando nei primi decenni del Novecento servizi assistenziali per le madri lavoratrici, i figli potevano non ricevere le cure necessarie né il latte materno. A tali difficoltà l’ONMI cercò di ovviare proprio tramite l’istituzione degli asili nido e delle camere di allattamento nelle fabbriche, contribuendo anche a combattere la mancanza di igiene negli ambienti in cui il neonato veniva esposto sin dai primi giorni di vita.

 

L’edificio che ospitava originariamente la Casa della Madre e del Fanciullo, gestita in origine dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, oggi ospita ancora l’attività legata alla crescita e accoglienza dei bambini della scuola dell’infanzia. Denominata “la Campanella”, oggi la scuola riveste ancora il suo ruolo sociale.

Si tratta di un immobile assimilabile allo schema a corridoio derivante, nella tradizione italiana, dall’esperienza delle scuole razionaliste e dalla traduzione in architettura dei principi rigidamente autoritari del periodo fascista. Lo schema è caratterizzato dalla successione di aule contigue collegate tra loro da corridoi lineari. Tale distribuzione privilegia lo spazio dell’aula che coincide con l’unico spazio pedagogico riconosciuto come tale, ponendo in posizione secondaria gli spazi di socializzazione tra le classi, relegati ai corridoi di servizio. 

L’edificio si sviluppa su un seminterrato e un livello fuori terra; è caratterizzato dalla presenza di due volumi emergenti che contengono le funzioni distributive. 

 

I prospetti sono articolati con una superficie unica in elevazione, scandita da due ordini di finestre poste in modo regolare sulle facciate e dal coronamento costituito dal cornicione sottocopertura posto all’altezza del piano di calpestio del solaio di copertura, quasi a simulare una fascia marcapiano. Non è presente nessun basamento né elementi verticali quali lesene, colonne, semicolonne, anteridi, portali, cornici, ed elementi verticali in genere a decorare le facciate dell’edificio. L’edificio presenta uno sviluppo planimetrico articolato a U, in muratura portante di laterizio pieno e copertura piana. 

L’edificio dopo la liberazione fu adibito ad ospedale civile nonostante i danneggiamenti subiti a seguito della ritirata dei tedeschi. L’edificio fu danneggiato a seguito di eventi di guerra. In tal senso è stata reperita presso l’archivio storico comunale una perizia del 27/5/1946 aggiornata al 18/06/1947 di stima dei danni di guerra importo complessivo della stima lire 1.100.000. Le ultime notizie di interventi sostanziali progettati ed eseguiti sull’edificio risalgono al settembre 1988 con un intervento di ristrutturazione eseguito dall’amministrazione comunale che possono essere riassunti in sostituzione di infissi interni ed esterni, demolizioni/rifacimenti di tramezzature, interventi sui bagni e risanamento intonaci.

Ad oggi l’edificio non risulta modificato nella sua composizione architettonica e nella morfologia dei prospetti; incongrui interventi di finitura e di sostituzione degli infissi rendono difficoltosa la lettura dell’architettura originale, sebbene alcuna sostanziale trasformazione sia stata eseguita né sull’impianto, né sui volumi, né tantomeno sulle facciate.  

2-ASILO NIDO LA CAMPANELLA

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